Changing Of The Guards

Inserito il 30 gennaio 2008 10:49 da Alessandro Bianchi in Editoriali

Le riflessioni del nostro editorialista Marcos sugli Australian Open 2008

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Tra i quattro tornei dello Slam, sono gli Australian Open, per solito, a riservare sorprese, pur non mancando casi eclatanti persino a Wimbledon. Non di rado, infatti, ci scappa un finalista, se non un vincitore, inaspettato: vuoi perché siamo all’inizio della stagione e non tutti si svegliano con le scarpette ai piedi, vuoi perché qualche giocatore preferisce una preparazione di medio/lungo periodo, vuoi per il caldo, vuoi perché di là è tutta un’altra storia.

Sono particolarmente conservatore nel tennis: mi abituo con qualche difficoltà alle novità, soffermandomi pigramente su ciò che più rifulge, tendendo l’occhio, di tanto in tanto, a ciò che vien dal basso, quando d’improvviso, anche solo per un attimo, nell’alto sa specchiarsi. Comodamente, giustifico questo miope atteggiamento, convincendomi di giorno in giorno, sempre con maggior fatica, che questo, in fondo, non è il mestiere mio. La passione, però, val più d’un mestiere.

Per passione e per divertimento, cresce in me, ormai da qualche mese, questo strano convincimento: vuoi vedere che qualche lamentela, qualche piccolo infortunio, qualche sconfitta non preventivata, qualche mese in sordina, qualche partita vinta, ma fin troppo lottata, qualche si sente, ma non si dice…sono l’indice ancor non del tutto chiaro che siamo ormai di fronte ad un momento più unico che raro?

Forse, anche su queste pagine, mi è capitato di considerare l’evidente calo del Mano De Piedra, al secolo Fernando Gonzalez, che, dopo aver stupito, all’alba dello scorso anno, col suo nuovo rovescio in back in Australia, e dopo aver illuso a Roma e a Pechino, s’è addestrato in prestazioni più che da bombardero, da fantaccino. A nessuno può essere sfuggita la chiara flessione di Ljubicic, grande tennista e grande uomo, dopo mesi di straordinari risultati. Parimenti si può dire di James Blake, di Hewitt, di Ferrero, di Roddick, di Haas e di Robredo. Safin è un caso parte, ma anche lui può star qui dentro. Davydenko e Nalbandian son capaci di stupirci, ma, dopo tutto quel che han speso, a fatica reggeranno. I campioni di cui sopra non han finito qui: saranno ancora in grado di graffiare, ma non incideranno, a mio parere, più di tanto. Non finirò mai di ringraziare Henman: i suoi meravigliosi gesti bianchi sono ormai, però, già storia.

Il re è nudo. Ad Indian Wells fu distrazione. A Miami fu affronto. Non v’era codice su cui si poteva trovar inciso che Roger avrebbe perso per due volte consecutive da Canas. Solo per di qua, si poteva sperare che il nostro Filippo gli facesse lo scalpo un dì di maggio, proprio qui, in mezzo a noi. Scrissi, dopo la finale di Wimbledon vinta balbettando contro Nadal, che, forse, Federer non sarebbe riuscito ad eguagliare il record di Sampras, quanto a numero di vittorie negli Slam. Poi, ne perde altre tre: una finale contro Djokovic, il più serio candidato a sostituirlo in vetta, e due incontri con Nalbandian, che, quando è convinto, unto dalla fede e spalleggiato dalla condizione, può battere chiunque. La sconfitta dell’altro giorno contro Djokovic, ancora lui, conferma, a mio parere, che l’eccezionale striscia di vittorie sin qui ottenuta inizia a farsi sentire: vivere per anni ai massimi livelli comporta uno straordinario dispendio fisico e mentale. Forse, sta finendo la benzina. Sto scrivendo di un tennista che da molti è considerato il più grande di tutti i tempi. Sto scrivendo di un tennista che inizia a chiedersi, anche durante gli incontri, se la tecnica sopraffina, di cui è dotato, è ancora sufficiente per aggiudicarseli.

Il principe è in mutande. Qualcuno, come me, avanza da qualche tempo l’ipotesi che Nadal, da giovane, sia stato sottoposto ad una crescita muscolare eccessiva per la struttura ossea e tendinea propria di un teenager. La velocità con cui copriva il campo, per impattare la palla con violenza e precisione, pare venir meno, di partita in partita. Ciò che ho notato, nei suoi ultimi incontri sul duro, oltre al netto miglioramento del rovescio bimane, col quale accelera più di prima, quando arriva bene, è una netta diminuzione della profondità di palla: da qualche tempo, per colpire, si affida più al braccio che alle gambe. Perde, in questo senso, una delle caratteristiche che l’hanno reso imbattibile sulla terra e molto efficace anche sul duro. Sono certo che sui terreni lenti continuerà ad inanellare vittorie su vittorie, ma il suo gioco sul duro, diminuito in profondità, sarà fatalmente sottoposto agli aggressivi attacchi della nuova generazione.

Con tutte le cautele del caso, quindi, vedo i campioni, che hanno sin qui illuminato le scene del tennis mondiale degli ultimi anni, in lento, ma progressivo calo. Il mio desiderio è che Roger e Rafa, tenendo conto della differenza d’età, sappiano controllare, con un’intelligente programmazione, la loro uscita di scena, magari vincendo ancora qualche titolo dello Slam, ma la velocità del loro declino agonistico dipenderà molto dalla rapidità con cui la nuova generazione riuscirà ad imporsi. Sono in molti ad emergere ed in molti hanno straordinarie qualità: Djokovic, Murray, Gasquet, Berdych, Baghdatis, Tsonga, Del Potro, Gulbis, Cilic, Monfils…ma anche il gruppo dell’83, Kohlschreiber, Verdasco ed Andreev, tutti questi hanno gli strumenti tecnici per inserirsi nei primi dieci e, qualcuno di questi, può serenamente puntare al podio.

Avrei potuto seguire il mio istinto, quel pigro abituarsi solo a ciò che maggiormente brilla, ma l’inedita finale degli Australian Open mi ha dato spunto per guardare un po’ più in là: quel che ora ancor non è, ma che presto arriverà.

“Gentlemen, he said, I don’t need your organization, I’ve shined your shoes, I’ve moved your mountains and marked your cards, but Eden is burning, either brace yourself for elimination or else your hearts must have the courage for changing of the guards”

marcos

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