Dedica a Mikhail Youzhny

Inserito il 26 giugno 2007 04:22 da Redazione in ATP e dintorni
30 settembre 2002: Mikhail Youzhny, tennista russo di soli vent’anni, era in procinto di prendere parte al torneo che, per un russo legato alla propria terra, costituisce un must irrinunciabile: Mosca.

Purtroppo, la preparazione a quel torneo era diventata di infinitesima importanza rispetto a quanto era accaduto soltanto sei giorni prima. Ma non allo Youzhny giocatore, bensì allo Youzhny uomo.
Misha, col padre Mikhail senior, stava percorrendo, a bordo della sua autovettura, un’anonima strada russa, una delle tante. Nel percorso, accidentalmente, andò a sbattere contro una Jeep, che li sopravanzava. Mikhail senior, sceso di gran fretta per accertarsi dell’impatto, venne travolto verbalmente dal conducente dell’altro automobile. Ma non solo verbalmente.
Di certo, a questo punto del racconto, non v’è nulla, si sa solo che il padre del tennista accusò un malore, mentre il possessore della Jeep se la batteva di gran carriera. Misha, compreso quanto stava succedendo, balzò fuori dall’auto, ma ormai era troppo tardi. Il padre era morto.

Quando mi accingo a scrivere, non capisco se sia meglio partire esponendo chiaramente il concetto di cui voglio trattare, o se renda meglio l'idea partire da un particolare, un piccolo ma significativo particolare, che faccia comprendere al lettore quanto io effettivamente possa essere preso dalla situazione che esporrò in seguito. Col tennis centra poco, ma forse meglio non potevo iniziare per far capire quanto empaticamente sia legato a Mikhail Youzhny
E’ il tennista più russo di tutti, Misha. Ha faticato ad imparare idiomi diversi da quello nativo e, a differenza di tanti altri suoi colleghi che hanno tradito la madre patria per località più confortevoli, lui è sempre vissuto in Russia.
La calda Spagna dove hanno trovato alloggio Andreev e Safin, la Germania oramai casa di Davydenko, l’American Life Style di Tursunov in lui non hanno attecchito. Youzhny è il vero russo. Come lo stesso Marat ha sempre ammesso:
“Lui ha dimostrato di essere un uomo vero, lui è un uomo russo, lui sa come si combatte, come si esce dalle situazioni difficili."

Quel 24 settembre ha inevitabilmente segnato la vita del giovane Misha, che tennisticamente stava vivendo un momento particolare: la sua Russia, solo due giorni prima, aveva centrato un’importantissima finale Davis, con la possibilità di giocarsi in Francia il primo titolo della storia. Inoltre, nel luglio dello stesso anno, Youzhny aveva vinto il primo titolo ATP della carriera, sulla terra rossa di Stoccarda, superando in cinque set Guilermo Canas: ormai era diventato un giocatore vero.
Superata l’empasse iniziale, quantomeno superficialmente, col dolore che serbava tuttavia nel cuore, il russo trovava il modo di recuperare la retta via tennistica, conseguendo una finale a San Pietroburgo, viatico sufficiente per testarne le condizioni in vista dell’appuntamento di Davis, dove avrebbe fato squadra con Marat Safin, Yevgeny Kafelnikov e Andrei Stoliarov.
Il rapporto con la Davis di Misha fino a quel punto era stato tutt’altro che esaltante: un esordio vittorioso, ad esito noto, contro il Belgio, nel 2000, e poi quattro sconfitte consecutive, fino a quel benedetto Dicembre 2002.

La storia a questo punto è nota: nella Russia di quel tempo, a fianco dell’intoccabile Marat, giocava un Yevgeny Kafelnikov in evidente parabola discendente, che il venerdì, durante il match perso nettamente contro Grosjean, non aveva fatto nulla per smentire quest’impressione.
Giunti sul due pari, grazie ai punti conquistati da Safin, il capitano Tarpischev decideva di schierare Youzhny per l’incontro decisivo, nel quale avrebbe affrontato Paul Henri Mathieu: due ventenni si sarebbero dati battaglia per far vincere alla propria nazione la Davis Cup.
Youzhny, recuperata una situazione disperata, prima sotto di 2 set, poi dal 2-4 15-30 durante il quarto set, conquistava il terzo punto, e, da un giorno all’altro, diveniva l’eroe di Russia. Anche se appieno il ragazzo di Mosca non poteva gustarsi il trionfo
“Era davvero dura per me, perchè solo tre mesi prima mio padre era morto. Aveva fatto molto per me e non aveva potuto vedere quel match. Ed io non potevo essere completamente felice, soddisfatto forse, ma non completamente felice.”

Per quanto il successo inatteso potesse creare scompensi mentali e deviarne il percorso che ormai sembrava designarlo alla scalata del ranking, egli stesso non si sente tut’oggi di imputare alla pressione arrivata dalla patria le proprie defaillances. In Russia, naturalmente, tutti ormai si erano scordati di come la propria nazionale fosse giunta all’atto conclusivo, o di chi avesse conquistato i primi due punti nella finale. Tutto il Paese era per Youzhny
E pensare che mentre lui diveniva l’eroe di una nazione, per lui giocare a tennis non era altro che un modo per non pensare a quello che intimamente lo aveva toccato. Il grande successo a cui era giunto lo guardava con quel sorriso amaro che solo la tragica intempestività della vita sa riservare
“Tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 io giocavo solo sulle mie emozioni, giocavo senza un perché, pensavo continuamente a mio padre e sentivo che dovevo giocare, sempre. Io dovevo giocare. Questo andò bene per un po’ di tempo, ma dopo un po’ capii che era impossibile proseguire così”.

Infatti dopo lo strepitoso Australian Open, in cui Roddick lo eliminò solo al quinto set negli ottavi di finale e dopo aver recuperato uno svantaggio di due set, per Youzhny arrivò un periodo d’appannamento, periodo nel quale realizzava la tragedia avvenuta mesi addietro.
Concluso un 2003 davvero difficile, nel 2004, nonostante una falsa partenza, Youzhny sembrava aver ritrovato il suo tennis, tanto che a fine anno entrava tra i primi venti giocatori del mondo, conquistando il secondo titolo della sua carriera, a San Pietroburgo.
La sua scalata, però, subiva un nuovo rallentamento. All’inizio del 2005, durante il match contro Rafael Nadal a Melbourne, partita nella quale Mikhail venne sconfitto in 5 set - col rammarico di una comodissima volley di dritto finita in corridoio su un match point in proprio favore - cominciò ad accusare problemi al ginocchio che ne limitarono le apparizioni nei mesi seguenti.

Le tre settimane di stop per una visita a Mosca non furono sufficienti, visto che i bruschi rientri a Dubai e nei Master Series americani ne provocarono nuovi problemi che lo obbligarono a fermarsi per un’operazione al ginocchio, avvenuta in Germania.
Il ritorno alle competizioni si concretizzò Roma, dove Nadal gli procurò la terza sconfitta dell’anno, dopo Doha e gli Australian Open; ma sulla terra il gap era già più evidente in favore del vincitore del successivo Roland Garros: due soli i giochi che Youzhny riuscì a portare a casa.
Salvata comunque la stagione grazie agli ottavi di finale di Wimbledon ed ad altri piazzamenti, di Youzhny in quello scorcio di carriera si ricordano alcune partite ben giocate, purtroppo perse, ma che rafforzarono le credenziali sulla bontà del suo tennis:

- A Kitzbuhel, sulla terra rossa in altura, Misha giocò un fantastico quarto di finale contro Gaston Gaudio, a quei tempi solidamente top 10 e uno dei maggiori interpreti sulla polvere rossa: il 6-4 4-6 6-4 arrise all’argentino, ma resistui sensazioni sulla possibilità di un Misha polivalente;

- A Cincinnati, il 6-2 del primo set con cui mise alle corde Andy Roddick fu una prova di assoluta forza che non ebbe però seguito nel corso del match - 6-3 6-4 in favore dello statunitense gli altri set - ma che consegnò altre giocate meravigliose agli occhi dei fans;

- Infine, un match lottato a Flushing Meadows contro Xavier Malisse, perso per 7-6 al quinto set, pose fine alla propria stagione, visto che in seguito, salvo qualche quarto di finale raggiunto, il suo tennis fu limitato da un nuovo problema, questa volta alla schiena.

Lo specialista fu sufficientemente chiaro: se Mikhail non avesse rafforzato la sua schiena, i problemi non sarebbero mai passati. E così Youzhny tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 cominciò ad allenarsi duramente, in un periodo della sua vita piuttosto difficile a causa di tensioni familiari.
Il 2006 iniziò in modo disastroso, con Youzhny che dopo qualche risultatino in avvio, non trovava più le sensazioni di un tempo. Il tanto lavoro accumulato durante la pre-stagione non dava i frutti sperati
Il punto più basso, stando le sue parole, lo toccò ad Amburgo, dove Guillermo Garcia Lopez lo dominò per 6-0 6-4. Forse qualcosa non andava.

Per cercare di riprendersi da questo periodo nebuloso, Youzhny scelse la via del lavoro. Se prima riteneva di aver lavorato molto, aveva capito che non bastava. Tecnicamente, le lacune del suo colpo debole, il dritto, erano evidenti e per tornare quello di un tempo c’era la necessità di allenarsi, sempre più duramente.

Passano i mesi e si arrivava così all’appuntamento cardine dell’ancora giovane carriera del moscovita. Agli Open degli Stati Uniti dello scorso settembre, Youzhny trovò finalmente il gioco che molti ipotizzavano potesse avere, ma che in rarissime occasioni era riuscito a mostrare.
Quattro top 20 battuti in meno di dieci giorni, ma passiamo in rassegna le partite che lo condussero fino al migliore risultato della sua carriera, la semifinale Slam

- 7-5 6-1 6-3 a Dominik Hrbaty, diciannovesima testa di serie, giocatore che in passato aveva però sempre sofferto il tennis del russo. Partita andata di scena in una giornata piovosa e che, come denota il risultato, ha apportato poche insidie a Youzhny;

- contro Nicolas Massu, un piccolo capolavoro di Misha: perso il primo set per 7 giochi a 5 ed il secondo al tie break per 8 punti a 6 dopo essere stato avanti 5-2, il cammino del nostro eroe a Flushing Meadows pareva già essere al capolinea dato anche il break di svantaggio con cui andava sotto ad inizio di terzo set. Per chi aveva seguito le sue performances poco brillanti di quella stagione, le speranze erano ridotte al lumicino, ed invece…Youzhny infilava un clamoroso parziale di 18 giochi a 5 e finiva coll’imporsi per 6-0 al quinto set

- Lo attende poi un giocatore spagnolo, forse il più tignoso di tutti, David Ferrer, giocatore tutt’altro che disabituato al cemento, visti i risultati conseguiti a Miami, ma non solo. La costanza di Ferrer sembrava essere un ostacolo troppo duro per il russo ed il primo set perso con un disastroso gioco di servizio dava poche speranze su un esito diverso dalla sconfitta. Tutto finito? Ancora no, rimonta e vittoria in quattro set, col set finale vinto per 6-4, dopo essere stato avanti per 4-0: l’iberico in quel’estate aveva conquistato tantissime vittorie parziali recuperando da situazioni disperate ed aver evitato l’aggancio era un ulteriore sintomo che quello potesse essere il suo torneo;

- Ottavi di finale a senso unico per il nostro giocatore, che concedeva solo 3 giochi a Tommy Robredo: si giungeva ai quarti, dove l’avversario è Rafael Nadal, contro cui le uniche speranze erano appese al classico detto : “Non c’è il due (facendo riferimento ai due iberici battuti), senza il tre”:

- Ed invece , quel mercoledì 6 settembre, Youzhny toccò livelli di gioco clamorosi, quantomeno difficilmente ripetibili: vinto il primo set per 6-3 e perso il secondo per 7-5, la partita sembrava volgere per il peggio quando sul 5-4 Nadal, Misha si trovava a servire sotto 0-40: 3 set point. Il punto più prossimo alla fine era invece solo l’inizio della cavalcata che lo avrebbe condotto ad un successo storico. Vinto il terzo parziale per 7-6, Misha distruggeva l’iberico nel quarto set con un perentorio 6-1, con Nadal che non riusciva a porre rimedio allo strabordante tennis del russo; difficilmente Rafa si era mostrato inerme come durante quella partita, giunto ad un punto di inferiorità da guardare il suo angolo e ridere come per dire “Che ci posso fare?”. Riguardare quel match ogni volta stupisce del livello raggiuno da Youzhny in quella partita, che, tra l’altro, poche ore dopo, in coppia col ceco Leos Friedl, eliminò in doppio i gemellly Bryan, campioni in carica e numeri 1 della specialità: che giornata!

- Tennis che non venne riproposto però in semifinale: uno Youzhny più falloso col dritto finì col cedere in quattro set ad Andy Roddick.

A questo punto tornarono su di lui le luci della ribalta, la gente che si domandava dove fosse finito quel giocatore che tempo addietro sembrava promettere così bene: ma lui c’era sempre stato, qualche infortunio, qualche carenza tecnica lo aveva limitato, ma lui non era mai mancato.
E di certo non è venuto meno ora: tornato top20, il russo proverà ad attaccare la soglia dei primi 10 giocatori al mondo.
Perché se lo merita, perché il suo gioco lo merita, perché per il suo amore per la Russia ha preferito non tradire le proprie origini, nonostante la Russia gli abbia più tolto che non dato, come detto prima. E il suo essere russo si evidenzia anche nel post partita.

Desta curiosità infatti il suo modo di festeggiare, quando si porta al centro del campo, ponendo il piatto corde sopra le teste ed indirizzando il saluto ai quattro lati del capo. La spiegazione è semplicemente dovuta alla sua voglia di avere un modo tutto suo di ringraziare il pubblico, sulla scia cominciata da Agassi anni prima.
Perché quel gesto, beh lasciamo dire a lui
"Why? I think it's really Russian, what I am doing,"
C’era forse qualche dubbio?

Davai Misha.

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