Il dritto piu' forte del mondo

Inserito il 15 settembre 2009 15:47 da Redazione in ATP e dintorni
Era la finale degli Usopen 2009: di fronte il modello da imitare, il mito vivente, la perfezione tecnica, il gioco in levare dalla riga di fondo; per molti, il più grande di sempre. Nelle sei precedenti partite, Roger l’aveva sempre sconfitto. Per lui, per Juan Martin, era la prima finale di Slam: lo stadio era tinto d’albiceleste.


Era la finale degli Usopen 2009: di fronte il modello da imitare, il mito vivente, la perfezione tecnica, il gioco in levare dalla riga di fondo; per molti, il più grande di sempre. Nelle sei precedenti partite, Roger l’aveva sempre sconfitto. Per lui, per Juan Martin, era la prima finale di Slam: lo stadio era tinto d’albiceleste. Vent’anni per Del Potro, ventotto per Federer ed un oceano d’esperienza in più. Per tutto questo, per tutta la pressione che questo significa, all’altissimo Delpo, per un’oretta buona, quasi non entrava un dritto, l’unico strumento che avrebbe potuto scalfire la sicurezza del primo della classe. Eppure, durante il torneo, aveva piegato il braccio a rivali assai quotati. Li aveva dominati, traendo dalla sicurezza con cui colpisce il dritto la forza mentale dei migliori. Era questione di tempo, ma, se avesse aspettato ancora qualche minuto, Roger sarebbe passato in vantaggio per due set a zero: quasi impossibile rimontare, a quel punto.

All’inizio del secondo set, pur sotto di un break, Juan Martin iniziava a dolersi per il mancato aiuto del suo colpo migliore: le doglianze, mai isteriche, lasciavano intravedere che, di lì a poco, l’argentino sarebbe entrato in partita. Dopo l’ennesimo dritto steccato o scagliato sul nastro, invece di lasciarsi andare a monologhi e lamentele disperate, si concentrava per giocare al meglio il punto successivo. Del Potro riusciva a convogliare la rabbia per i dritti mancati in attenzione sempre più viva: atteggiamento proprio dei grandi campioni. Roger percepiva che il rivale stava per carburare ed, infastidito, si lamentava a lungo con l’occhio di falco: un dritto vincente, argentino e lungolinea, chiamato fuori dal giudice di linea, non poteva essere riabilitato da uno stolto volatile elettronico! Il problema, per lui, non era l’occhio di falco: era il dritto di Juan Martin. Iniziava a tirarlo con la stessa naturalezza del quotidiano sorgere del sole. Era l’alba di un nuovo giorno: all’orizzonte, nemmeno una nuvola.

Vinto dall’argentino il tie break della seconda frazione, iniziava una battaglia a ritmi furibondi, vinta con esperienza dalla svizzero, che, profittando di un tremebondo turno di servizio avversario, conquistava il break decisivo al decimo gioco. In vantaggio per due set a uno, forse, Roger pensava d’avercela fatta anche questa volta. Doveva, però, chiudere ancora i conti con la diagonale destra. In qualche occasione, Federer riusciva ad incontrare alla perfezione le fucilate di Del Potro, che, soprattutto in corsa, esplodeva dritti mai visti su un campo da tennis, per potenza e velocità. Altro che Gonzalez! Ogni volta, però, che riusciva a tamponare i missili del rivale, lo svizzero perdeva preziosissime stille d’energia. Era un bombardamento costante, massacrante, inedito per il re: fisico e mente eroicamente votati alla resistenza. Ma quanto si può resistere ad un arrembaggio simile? Non più di quattro ore. Perso il tie break del quarto set, Roger non poteva sperare che in un calo di Juan Martin, per vincere l’ennesimo titolo dello Slam. Niente da fare: ormai Del Potro era in pieno orgasmo agonistico, conscio che la storia stava per aprirsi al suo dirompente stato di forma. Concentrato, convinto, sicuro di sé: sicuro di avere il dritto più forte del mondo.

Marcos


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